Infine una notte sognò di trovare un fiore rosso sangue con in mezzo una perla bella grossa. Egli colse il fiore e andò al castello, e tutto ciò che toccava con il fiore si liberava dall'incantesimo.
-Da Jorinda e Joringhello, fiaba dei fratelli Grimm
L'origine della perla è un'intrusione irritante: un piccolo granello di sabbia penetra nel guscio del mollusco. L'ostrica si ritrova ferita, invasa e impossibilitata a scacciare quella presenza. Così per proteggersi inizia a difendersi, e ricopre quel corpo estraneo di strati concentrici di sue secrezioni di carbonato di calcio: la madreperla. Questa auto produzione, nel buio delle viscere del mollusco, ha sempre evocato nella psiche umana immagini di qualcosa di unico, prezioso, luminoso che si origina da aspetti oscuri e tenebrosi della nostra natura carnale. Per gli antichi mistici persiani la perla rappresentava l'immagine dell'anima immortale nel corpo mortale, per gli alchimisti una "virtù": una tendenza inconscia in grado di ripristinare l'integrità essenziale di ciò che era stato compromesso nel Sé.
In questa fiaba l'immagine del fiore con al centro la grossa perla diventa la cura per sciogliere l'incantesimo che imprigiona l'amata e che simbolicamente abbiamo interpretato come l'anima ingabbiata nella relazione simbiotica. Ciò che colpisce le persone coinvolte in relazioni simbiotiche da una parte è la malia di sentirsi due in uno, quel senso di fusione che scioglie i confini personali da lenire ogni dolore di solitudine, dall'altra confonde a tal punto l'identità di ognuno da compromettere ogni iniziativa d'autonomia: il partner si assenta per un breve periodo e l'altro è in preda ad attacchi d'ansia, terrori d'abbandono, paranoie di tradimenti. Ciò che le persone fanno fatica a comprendere è che chi manca veramente non è l'altro, ma ciò che all'altro inconsapevolmente abbiamo affidato: il senso della nostra vita, il gioiello più prezioso.
L'assenza dell'altro ci scuote, scatena in noi il terrore di perdere il controllo ed il senso della nostra esistenza. La cura diventa la distanza dall'altro, per riaffermare le differenze ed i confini; e quel lavoro di fatica, di sofferenza, di ricostituzione del nostro centro, che si radica (fiore) nel buio delle nostre fragilità (mollusco) partendo proprio dal dolore della mancanza dell'altro, grumo di male (granello), origine di noi stessi, del nostro essere più prezioso: la nostra perla.